Che il decreto legge n. 48 (definito “Decreto Sicurezza”) approvato l’11 aprile scorso e convertito senza emendamenti nella legge 80/2025 il 9 giugno, fosse non solo sbagliato, ma oltremodo pericoloso in quanto colpisce, in primis, chi non è in linea con l’ideologia del governo lo avevamo capito “quasi” tutti, ma quando viene messo tutto nero su bianco nella Relazione n.33/2025 dell’Ufficio del Massimario della Suprema Corte di Cassazione la cosa si fa interessante…
La Relazione offre una lettura tecnica di tutti i punti del Decreto Sicurezza e di fatto denuncia l’incostituzionalità della legge approvata dal governo, definendolo un “minestrone pericoloso” che mescola norme su mafia, migranti, proteste, cannabis e agenti segreti. Una bocciatura piena che apre una grossa crepa verso la demolizione di tutti i punti contenuti nella legge.
Tra le criticità più importanti messe in evidenza dalla sentenza della Cassazione emerge l’assenza di urgenza o necessità, fattori invece utilizzati dal governo per arginare il normale iter legislativo in parlamento e violando, di conseguenza, l’articolo 77 della Costituzione. Non solo: le norme penali sono state introdotte senza preavviso, impedendo così a cittadini e imprese di conoscerle e adeguarsi, rischiando di colpire non chi commette un reato, ma il dissenso.
Il “Decreto Sicurezza” e la Cannabis Light
Tra i capitoli che compongono la relazione c’è anche l’analisi dettagliata dell’ormai famigerato articolo 18 che ha stravolto la legge 242/2016 sulla canapa industriale e che, secondo la Suprema Corte, solleva contemporaneamente questioni di legittimità costituzionale, profili di incompatibilità con il diritto dell’Unione europea e gravi criticità di ordine economico e sociale:
In questo immutato quadro d’insieme, la disciplina restrittiva di nuova introduzione, siccome penalmente presidiata, potrebbe porsi in contrasto, oltreché che con il principio di determinatezza della legge penale “cioè con la componente del principio di legalità che vieta l’incriminazione di fatti che non siano suscettibili di essere accertati e provati nel processo”395, soprattutto con quello di offensività (in astratto) nella misura in cui le evidenze scientifiche dimostrano l’assenza di effetti droganti quando il principio attivo della cannabis si collochi al di sotto delle percentuali di THC indicate dall’art. 4 legge 242 del 2016 che, in effetti, sono sempre servite a valutare, in via generale e astratta, la liceità della coltivazione industriale della canapa (“nella sua interezza”: v. postea) da parte dell’agricoltore che “pur impiegando qualità consentite, nell’ambito della filiera agroalimentare delineata dalla novella del 2016, coltivi canapa che, nel corso del ciclo produttivo, risulti contenere, nella struttura, una percentuale di THC compresa tra lo 0,2 per cento e lo 0,6 per cento, ovvero superiore a tale limite massimo” (così Sez. U, n. 30475 del 30/05/2019, Castignani, in motiv. § 5.2).
Il problema non riguarderebbe – si badi – la rilevanza penale della commercializzazione al pubblico di derivati della coltivazione lecita di canapa (questione ampiamente approfondita giustappunto da Sez. U Castignani), né l’esistenza di indici rivelatori della finalità di commercializzazione del prodotto per usi diversi da quelli consentiti (su cui v. Sez. 4, n. 16155 del 17/03/2021, Currenti, Rv. 281150-01) quanto, in radice, il sopraggiunto divieto – penalmente sanzionato in termini di reato di pericolo astratto o presunto396 – di coltivazione agroindustriale di infiorescenze della canapa che il legislatore all’art. 18, ha (ri)qualificanto ex abrupto condotta (astrattamente) pericolosa punibile ai sensi del d.P.R. n. 309 del 1990 sulla base di una presunzione assoluta di dannosità per lo stato psico-fisico del soggetto assuntore e, in termini ancor più distanti, per «l’incolumità pubblica ovvero la sicurezza stradale», qui assunti quali beni giuridici di particolare rilievo.
In alternativa alla proposizione della questione di legittimità costituzionale, dovrebbe potersi proporre – come taluna dottrina si accinge a sostenere397 – una (ri)lettura giudiziale dell’art. 18 che possa escludere, sulla base del principio di concreta offensività della condotta la penale rilevanza dei fatti relativi alle infiorescenze prodotte dalla coltivazione di cannabis sativa “per difetto dell’elemento dell’offesa”, quando il derivato sia, in concreto, privo di efficacia drogante o psicotropa (cfr. sul punto già Sez. U, n. 30474 del 30/05/2019, Castignani, Rv. 275956-01398 e Corte cost. n. 109 del 2016).
Sebbene il governo, con il decreto sicurezza, abbia voluto ad ogni costo legiferare l’impossibilità di trattare il fiore di canapa in ogni sua forma, la giurisprudenza, la scienza e la tossicologia affermano il contrario.
Questa relazione è una forte critica tecnica e giuridica, che serve da guida e da monito per i giudici, i politici e gli operatori del settore. Non obbliga lo Stato a modificare la legge, ma fornisce tutte le basi affinché un giudice sollevi una questione di costituzionalità, un tribunale disapplichi la norma in contrasto con il diritto UE o il Parlamento decida di correggere la legge.
L’articolo 18 del D.L. 48/2025 con cui il governo vieta senza eccezioni importazione, lavorazione, detenzione, cessione, distribuzione, commercio, trasporto, invio, spedizione, consegna, vendita al pubblico e persino consumo delle infiorescenze di canapa, anche qualora siano essiccate o triturate, nonché di qualsiasi estratto, resina o olio che le contenga, è di per sé pieno di contraddizioni e inapplicabile. Tuttavia ogni violazione ricade immediatamente sotto la sfera penale degli articoli 73 e seguenti del d.P.R. 309/1990, con conseguenze severe sul piano della libertà personale.
Nel provvedimento compare un’unica — e, secondo i giudici, meramente teorica — via di scampo: la possibilità di “lavorare” i fiori esclusivamente per la produzione agricola dei semi. Tuttavia la Relazione sottolinea che tale deroga richiede processi di separazione e tracciabilità talmente complessi, costosi e difficili da documentare in giudizio da risultare, di fatto, impraticabile e antieconomica per qualunque azienda del comparto.
La Cassazione evidenzia:
Incostituzionalità per violazione della libertà economica
- La legge blocca un intero settore economico legale e regolato
- Migliaia di imprese e posti di lavoro sono a rischio, nonostante l’assenza di prove scientifiche che dimostrino effetti droganti per prodotti a basso THC
Violazione del principio di “offensività”
- Non si può punire penalmente qualcosa che non produce un danno concreto.
- La legge presume automaticamente che le infiorescenze siano pericolose, senza valutarne i reali effetti.
- Richiama la fascia di tolleranza fino allo 0,6% di THC prevista dall’art.4 della legge 242/2016 come soglia oltre la quale può porsi un problema di rilevanza penale, affermando che al di sotto di tale limite manca una reale efficacia drogante
Violazioni del Diritto europeo
- Riconosce e incentiva la coltivazione di canapa con THC < 0,3%.
- Impedire la vendita di questi prodotti in Italia viola le regole del mercato unico europeo (art. 34 e 36 TFUE). La canapa industriale è una coltura ammessa e incentivata in ambito PAC e che un divieto assoluto (tra l’altro non notificata alla stessa Commissione europea) viola la libera circolazione delle merci nell’Unione europea.
In sintesi:
- Il nuovo divieto ha un carattere ideologico e non basato su dati scientifici.
- Potrebbe essere dichiarato incostituzionale e in contrasto con il diritto europeo.
- Le sanzioni penali introdotte sono sproporzionate e ingiustificate per un prodotto non drogante.
A tutte queste criticità si aggiunge il rischio che le aziende vengano coinvolte in procedimenti penali pur avendo agito in assoluta trasparenza fino all’entrata in vigore del decreto.
Che cosa succederà ora?
La Corte Costituzionale dovrà esaminare il decreto e, se confermerà le critiche evidenziate dalla cassazione, potrebbe bocciarlo in toto. Nel frattempo in molti tribunali è già stata sollevata la questione di legittimità costituzionale.
Il settore canapicolo non merita di essere criminalizzato da un governo bieco e capace di legiferare solo in virtù di follie ideologiche senza senso, ma di essere valorizzato per l’impegno (sia economico che fisico) di tanti imprenditori (per la maggior parte under 35) che hanno ripopolato zone rurali completamente abbandonate, operando nella piena legalità e trasparenza, generando PIL e posti di lavoro e contribuendo ad un’economia sana ed ecosostenibile.
LEGGI IL TESTO DELLA RELAZIONE 33/2025